Da diversi anni e da più parti si chiede una revisione della frase molto discussa del Padre Nostro: e non ci indurre in tentazione.
Si osserva che Dio, Sommo Bene, non può essere parte attiva nell'indurre l'uomo in tentazione.
Numerose iniziative religiose in molti paesi cercano di elaborare traduzioni che siano in maggiore sintonia logico-psicologica con il Nuovo Testamento dove Dio è presentato come misericordia, perdono, amore.
La CEI (Conferenza Episcopale Italiana) ha recepito tale esigenza ed ha approvato una nuova traduzione della Bibbia (L'Osservatore Romano, 25/05/2008) in cui si legge: "non abbandonarci alla tentazione" (La Bibbia, CEI, G. Betori, 2008). Tuttavia, questa dizione non trova riscontro nella prassi liturgica in cui si continua a recitare la vecchia versione già citata, nonostante il fatto che da tale data siano state pubblicate diverse edizioni della Bibbia approvata dalla CEI (La Sacra Bibbia. AA.VV. CEI-UELCI, 2012; La Bibbia. Via, verità e vita. Nuova versione ufficiale della CEI. G. Ravasi, B. Maggioni. Edizioni San Paolo e Paoline Editoriale Libri, 2012 e 2016).
Nella Chiesa Valdese si recita: non esporci alla tentazione.
Il Nuovo Testamento interconfessionale edito da LDC-ABU (Alleanza Biblica Universale, 2003) traduce con: fa' che non cadiamo nella tentazione.
Infatti, anche in altre lingue, oltre all'italiano, si hanno numerose proposte: non lasciarci nella, non lasciarci cadere nella, non lasciarci entrare nella, preservaci dalla tentazione.
In questo scritto si desidera proporre una traduzione che sia fedele al testo convergendo con le esigenze logico-psicologiche di cui sopra.
Per il testo originale greco si è fatto riferimento ad A. Merk, Novum Testamentum Graece et Latine, 1992, usando come vocabolario L. Rocci, Vocabolario Greco-Italiano, 1995.
Il testo greco recita: "kai mè eisenegkes emàs eis peirasmòn" la cui traduzione attualmente in vigore è, letteralmente, "e non indurre noi in tentazione".
"Eisenegkes" è la forma imperativa di "eisfero", parola composta da "eis" e "fero". "Eis" è ripetuto nella frase e significa : in, dentro, verso. "Eisfero" corrisponde all'italiano: portare, mettere in, introdurre. "Fero" indica, appunto, "portare" e la preposizione "eis": in, dentro, verso. Le preposizioni italiane "in", "dentro" vengono più frequentemente tradotte con "en".
"Peirasmòn" è l'accusativo di "peirasmòs" che significa anche tentazione, ma, soprattutto, in prima scelta: prova, esperienza.
"Kai" è la congiunzione "e"; "mè" significa "non";"emàs" è l'accusativo di "emoi": noi.
Come si può facilmente comprendere la dizione in uso corrente "e non ci indurre in tentazione" non è erronea, mentre le versioni "non ci lasciare, non ci abbandonare, non ci lasciare cadere" e simili sono molto meno testuali, troppo libere: non corrispondono all'originale, anche se risultano in sintonia con il criterio logico-psicologico.
Traduzioni come: non ci mettere nella prova, non ci portare verso la prova, appaiono letteralmente assai più aderenti al testo originale rispettto a quelle proposte, compresa quella attualmente in vigore. In italiano moderno è più corretto dire: non ci mettere alla prova. Ad esempio, non chiederci come prova della nostra fede, qualcosa di simile a ciò che hai comandato ad Abramo: offrire in sacrificio suo figlio Isacco.
Una traduzione di questo tipo era stata individuata da R. Falsini (Famiglia Cristiana, 25/12/2005), ma rigettata come inaccettabile sul piano linguistico.
Al contrario, tale traduzìone non solo risulta più testuale, ma appare in sintonia con il criterio logico-psicologico: Dio non può essere parte attiva nella tentazione, ma può metterci alla prova (Deuteronomio 8, 2; 13, 4).
Possiamo riporre la nostra fede e speranza nelle parole di H. Lee (Và, metti una sentinella, 2015): "Il Signore non ti manda mai nulla di più doloroso di quello che puoi sopportare".
B. Marconcini afferma: "la permissione del male da parte di Dio è sempre in vista di un bene migliore" (Atti degli Apostoli, Commento esegetico-spirituale, 1994) e per questo : "i regali di Dio non sono sempre facili" (B. Chenu, Sette vite per Dio e per l'Algeria, 1996).
A completamento di quanto scritto appare utile una precisazione concernente il criterio logico-psicologico scomponendolo nei suoi due termini.
La logica, in questo caso, si limita a considerare le circostanze all'interno delle quali si verifica un determinato episodio narrato. Il contesto in cui si cala il racconto indirizza la traduzione in una direzione piuttosto che in un'altra.
La psicologia, attraverso il processo empatico (vedi Credere per ragione del 11/01/2017), permette di metterci nei panni di chi parla o scrive orientandoci nella comprensione del messaggio che intende trasmetterci.
Ad esempio, dove si parla delle tentazioni di Gesù nel deserto (Matteo 4, 1-11; Marco 1, 12-13; Luca 4, 8-13) il verbo "peirazo" è meglio tradotto con "tentare" piuttosto che "mettere alla prova".
All'inizio dell'episodio del buon samaritano (Luca 10, 25) si trova il verbo "ekpeirazo" in cui "ek" indica "fuori", "da", ma la parola risulta, comunque, sinonimo di "peirazo" che, in tale circostanza, è meglio tradotta con "mettere alla prova". L'edizione già citata LDC-ABU traduce più liberamente con "tendere un tranello".
Ne La Bibbia di Gerusalemme (1984), come in altre versioni (vedi bibliografia di Credere per ragione) si ha, nel primo caso, "tentare" e nel secondo "mettere alla prova".
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