A. Maurois (1885-1967) affermava "credo perché non capisco", rimandando l'uomo di fede alle celebri parole di San Paolo circa la conoscenza che si può avere di se stessi in questa vita rispetto a quella futura "ora conosco parzialmente, allora conoscerò anch'io come sono conosciuto" (vedi aggiornamento del 19/02/2017).
La psicologia non può certo analizzare tale affermazione di San Paolo, ma può trarne spunto per alcune riflessioni.
M. Eliade (1907-1986), uno dei più autorevoli studiosi di storia delle religioni, ha osservato che nelle popolazioni cosiddette "primitive", a struttura di tipo tribale, il mondo viene conosciuto in un certo qual senso in modo "sacro", più precisamente, secondo modalità animistiche. Non solo gli animali, le piante, ma anche le cose hanno una propria anima, una intenzionalità soggettiva, interiore e su questa base viene costruita la loro conoscenza molto affine al credere non razionale, ma affettivo. Gli oggetti in generale non esistono per un "perché", ma per un "affinché", non per una causa, ma per un fine.
La conoscenza "profana" (davanti al sacro) è giunta solo dopo nella storia umana, nelle società più evolute, con l'età della ragione e della scienza. Già nell'antica Grecia si distingueva tra mitologia e filosofia.
Analogamente, studiosi della psicologia dell'età infantile come J. Piaget (1896-1980) e R. Spitz (1887-1974), partendo da punti di vista diversi, con metodologie differenti, sono giunti alla conclusione che il bambino "investe" affettivamente il mondo prima di conoscerlo. Affermava A. Camus (1913-1960) "noi prendiamo l'abitudine di vivere prima di acquistare quella di pensare".
In altre parole, ad esempio, il bambino conosce la propria mamma prima di avere il concetto di mamma. La prima forma di conoscenza è, quindi, basata su un "credo" che è molto più affine alla fede che alla ragione.
Da queste osservazioni emerge che la ricerca psicologica può arricchirsi attingendo da diverse fonti quali la letteratura in generale e quella Sacra in particolare.
J. Hillman (1926-2011) ha evidenziato numerose analogie fra psicoterapia, narrazione letteraria e religione. La prima può essere intesa come una storia, la propria storia di cui il paziente ha smarrito la trama, che viene rintracciata e riscritta a quattro mani insieme allo psicoterapeuta.
Questo percorso, sempre secondo Hillman, presenta profonde analogie con un cammino spirituale in ambito religioso. Nel primo si attua una ricerca di se stessi, mentre nel secondo dell'umana relazione con Dio.
Uno dei fini perseguiti dalla psicoterapia è mettere in relazione il paziente con la parte più sana della propria personalità per contrastare la parte malata. La prima è maggiormente rivolta alla collaborazione con il prossimo mentre la seconda, più egoistica e/o narcisistica, è rivolta alla ricerca della supremazia sugli altri (Adler 1870-1937).
In conclusione, l'analogia consiste nella ricerca della parte buona di sé, del bene in ambito morale.
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