Tentare una comprensione
psicologica del fondamentalismo religioso appare impresa ardua, ai
limiti dell'impossibile, senza una conoscenza diretta di qualche
soggetto integralista che abbia compiuto atti di terrorismo.
Non ci si può affidare a
quanto riferito dai mass-media ai fini di un'analisi attendibile e la
letteratura scientifica sull'argomento è anch'essa frammentaria e
basata su notizie la cui fonte non è sempre facilmente verificabile.
Un tentativo può essere
compiuto su base analogica essendo consapevoli dei limiti insiti in
tale approccio.
Nella mia attività di
psichiatra ho avuto modo di conoscere e assistere brigatisti sia
rossi che neri anche per periodi abbastanza lunghi e di discuterne
con i miei colleghi.
Si trattava per lo più
di soggetti rei di omicidi ed attentati a sfondo politico.
In linea di massima erano
individui per i quali si poteva fare diagnosi di disturbo di
personalità borderline o antisociale caratterizzato da egosintonia,
narcisismo, anempatia. Colpiva la loro assoluta sicurezza di essere
depositari di una “verità" politica al punto tale di sentirsi in
dovere di imporla con la violenza. Né io né i miei colleghi
abbiamo mai colto un minimo sentimento di colpa o di vergogna. Noi
stessi eravamo disprezzati come servi di un potere da loro ritenuto
illegittimo.
Queste persone
rappresentavano il braccio armato di un movimento culturale più
vasto che andava sotto il nome di contestazione la cui realtà era
assai poliedrica, ma con una base comune di sovvertire l'ordine
costituito, giudicato ingiusto e prevaricatore.
L'analogia con l'attuale
terrorismo su base religiosa appare fondato su questo aspetto: la
presenza di persone che, provenienti da un determinato ambito
culturale, colpiscono la società occidentale con attentati
organizzati o improvvisati.
E' possibile ipotizzare
che le persone colpevoli di tali reati presentino caratteristiche
psicologiche simili a quelle dei brigatisti di matrice politica, ma è
difficile approfondire tale congettura.
Ciò su cui si può
maggiormente discutere è il rapporto intercorrente con la cultura
religiosa di provenienza, in questo caso l'islam.
Questo non è
riconducibile ad un unico contesto. Esistono diverse correnti
religiose spesso in contrasto tra loro. Si possono rintracciare vari
modi di interpretare il rapporto personale con la religione propria e
altrui.
Una corrente,
difficilmente valutabile quanto a diffusione numerica, considera
l'occidente in contrasto con i valori dell'islam, intesi come
principi religiosi normativi della vita civile. Ciò che non si trova
nel Corano e nella più antica tradizione mussulmana viene respinto.
Chi non si attiene a questa visione del mondo diventa, per le frange
più estremiste, un nemico da combattere.
Agli occhi di queste
persone la libertà stessa, la laicità, la democrazia estesa alle
donne, il progresso tecnologico e scientifico, rappresentano aspetti
negativi. Ancora di più lo sono la liceità della ricerca del
successo, della ricchezza, della bellezza, della forza fisica
ostentate dai mass-media occidentali.
Determinati aspetti della
nostra cultura possono mettere in imbarazzo noi stessi per
motivazioni etiche e religiose.
La diffusione della
pornografia, della prostituzione, delle droghe, del gioco d'azzardo,
delle truffe, della corruzione, della malavita organizzata, portano a
riflettere che la società moderna o, almeno, parte di essa, ma molto
rappresentata nei mezzi di comunicazione di massa altamente
tecnologizzati, coltivi una sorta di culto per quelli che potremmo
considerare degli idoli o proposti come tali anche per motivi di
speculazione economica a cui siamo ormai assuefatti e che accettiamo
quasi inconsapevolmente. A. Schweitzer (1958) ammoniva contro la
crescente divaricazione che si sta creando tra evoluzione tecnologica
e valori spirituali.
Si trova scritto nel
Corano: “Quando poi siano trascorsi i mesi sacri, uccidete i
politeisti ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete
loro agguati. Se poi si pentono, eseguono l'orazione e pagano la
decima, lasciateli andare per la loro strada. Allah è perdonatore,
misericordioso” (IX, 5).
Maometto si riferiva ai
pagani adoratori di idoli e, talora, portati ad una vita corrotta e
dissoluta. Non aveva, di certo, in mente gli ebrei e i cristiani
monoteisti, popoli del Libro come i mussulmani. I primi avevano la
Torah, i secondi il Nuovo Testamento e per i terzi egli stesso stava
scrivendo il Corano che è stato composto nella sua forma definitiva
dopo la sua morte.
Ogni forma di violenza
non può che essere rigettata con forza e risoluzione. E' impensabile
imporre le proprie idee tramite la prevaricazione. “Il bene e il
male non esistono in se stessi, ciascuno di essi è l'assenza
dell'altro” (J. Saramago, 1997). Chi è convinto di combattere il
male con la violenza, si fa, comunque, nemico di Dio.
Nel Corano troviamo frasi
molto illuminanti come la seguente: “In verità coloro che credono,
siano essi giudei, nazareni o sabei, tutti coloro che credono in
Allah e nell'Ultimo Giorno e compiono il bene riceveranno il compenso
presso il loro Signore. Non avranno nulla da temere e non saranno
afflitti” (II, 62; i nazareni sono i cristiani e i sabei erano
probabilmente giudei viventi in Arabia).
Nonostante ciò,
nell'estremismo islamico non troviamo solo un accanimento contro i
supposti idoli che allontanano dalla corretta via, ma anche contro
fedeli di altre religioni, in particolare cristiani.
Numerosi sono gli
attentati rivolti contro cattolici, evangelici, ortodossi, copti,
maroniti, armeni, compiuti anche nei loro luoghi di culto.
Ciò sta ad indicare, in
modo ancora più evidente, che nel fanatismo islamico esiste una
corrente che giunge fino a negare e profanare i valori della propria
stessa fede.