I disturbi di personalità
rientrano nelle classificazioni psichiatriche. Sono numerosi e con
caratteristiche che li differenziano gli uni dagli altri, ma
presentano alcuni aspetti comuni:
- egosintonia: questi
soggetti presentano tratti del carattere problematici per la vita
relazionale, di cui sono coscienti, ma che non vivono come tali,
anzi, ne vanno sovente fieri,
- anempatia: ridotta o
assente capacità di mettersi nei panni degli altri e di considerare
il loro punto di vista, di vedere il mondo e se stessi nell'altrui
prospettiva,
- anedonia: difficoltà a trarre piacere da ciò che, invece, interessa altre persone e,
talora, essere soddisfatti dalle altrui sofferenze. In alcuni casi si
presenta come noia esistenziale,
- aggressività: tendenza
a prevaricare gli altri imponendo le proprie opinioni e stili di
vita, rifiutando le critiche che possono ricevere. Presentano,
talora, problemi a gestire l'impulsività,
- egocentrismo: porre se
stessi ed i propri vissuti al centro del mondo,
- intolleranza alle
frustrazioni: incapacità di subire critiche e difficoltà a
raggiungere traguardi che impongano impegni psicologici e relazionali
che giudicano troppo elevati, con tendenza a scoraggiarsi facilmente.
In poche parole sono
persone che fanno soffrire il loro prossimo piuttosto che soffrire
essi stessi. Vivono in una condizione soggettiva in cui non vi è
distinzione etica fra il bene ed il male secondo una logica comune e
condivisa, ma permane la cognizione di entrambi.
Sono spesso persone con
una vita sociale e lavorativa di successo. In altri casi conducono
una vita solitaria e anonima. Altre volte vivono ai margini della
società con problemi di abuso di alcool e di sostanze stupefacenti.
Presentano, talora, disturbi della sfera sessuale.
Sono spesso impulsivi,
sospettosi, gelosi, invidiosi, oppositivi, litigiosi.
Generalmente giungono
all'osservazione psichiatrica per motivi giuridico-peritali e non a
fini terapeutici.
Sono responsabili di
molti reati legati alla violenza. Talora comportamenti molesti e
aggressivi rimangono nascosti e celati entro le mura domestiche,
protetti dall'omertà familiare, conseguenza della paura.
Si tratta della “violenza
cronica” caratterizzata da atti ripetuti nel tempo, anche
quotidiani e protratti per anni.
Manifestazioni tipiche
sono: violenza nei confronti di minori e di donne anche con abuso
sessuale, stalking, bullismo che sovente assume carattere di gruppo,
vandalismo, reazioni aggressive immotivate. Talora la violenza giunge
fino all'omicidio che può essere a sua volta reiterato come nel caso
dei serial killers o presentare proporzioni allargate nel fenomeno
dell'integralismo politico o religioso.
Nei casi più gravi il
confronto con l'autorità di polizia e giudiziaria, con la sanità
medica e psichiatrica, la carcerazione e l'ospedalizzazione, possono trasformare l'egosintonia di questi individui in egodistonia che
copre un'ampia sfera psicologica dalla “normalità” alle nevrosi.
Allora possono prendere coscienza del male insito nei loro
comportamenti e soffrirne anche se, talora, in modo superficiale e
altalenante. In altri casi vi è una presa di coscienza più solida e
duratura fino alla consapevolezza del peccato.
Se ne trova un magnifico
esempio in “Delitto e castigo” di F. Dostoevskij (1866). Il
protagonista, Raskol'nikov, commette un omicidio nella perfetta
auto-consapevolezza di compiere un atto giusto. In seguito a diversi
avvenimenti, il senso di colpa compare in modo sempre più intenso
fino alla confessione e conseguente carcerazione. Nel romanzo si
trova un'esemplare narrazione del passaggio fra egosintonia ed
egodistonia.
Come affermava Don
Michele Do: “il male per diventare redentivo, deve diventare
sofferenza” (1990).
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