“Perché a loro parli con parabole?”
Questa è la domanda che
gli apostoli pongono a Gesù dopo il racconto della parabola del
seminatore ad una folla riunita per ascoltarlo.
La risposta fornita
rappresenta uno dei punti più controversi del Nuovo Testamento
considerata la discordanza fra i tre evangelisti sinottici (Matteo 13, 10-17; Marco 4, 10-12; Luca 8, 9-10).
Gli esegeti delle Sacre
Scritture hanno fornito diverse interpretazioni, riassumibili nelle
due seguenti. Le parabole sono usate per:
- proporre una
riflessione che lasci liberi gli ascoltatori di avvicinarsi a Gesù
per comprendere meglio,
- rendere il proprio
messaggio parzialmente velato agli ebrei, in maggioranza poco
ricettivi, affinché, di conseguenza, possa essere divulgato al mondo
pagano che lo accetterà con una diffusione più vasta e universale.
Considerata la varietà
delle traduzioni in italiano, preferiamo attenerci al testo greco di
A. Merk (1992), nel tentativo di affrontare tale questione alla
ricerca di una risposta che ci paia più convincente, in maggiore
sintonia con il messaggio evangelico nel suo insieme.
Matteo: “perchè
vedendo non vedono e udendo non odono e non comprendono”.
Marco: “affinché
vedendo vedano e non capiscano e ascoltando ascoltino e non
comprendano, e non si convertano e sia loro perdonato” citando
Isaia 6, 9-10.
Luca: “affinché
vedendo non vedano e vedendo non comprendano”.
Perché significa “a
causa di” e affinché “al fine di”.
La versione di Matteo non
pone particolari problemi interpretativi. La parabola, usata anche in
precedenza da predicatori ebrei e successivamente dai rabbini, non
costituisce una novità e presenta l'intento di spiegare un concetto
astratto o di difficile comprensione con una storia generalmente
tratta dalla vita quotidiana.
Le folle di gente povera,
semplice, hanno più facilità a comprendere tramite tale modalità
in quanto accettano il messaggio di Gesù e, anche se non lo
comprendono totalmente, ne sono attratte. Infatti, seguono e talora
inseguono il Messia per saperne di più.
Gli apostoli stessi
chiedono chiarimenti sulla parabola del seminatore.
Secondo Matteo
l'insegnamento tramite parabole avrebbe lo scopo di rendere più
fruibile un messaggio altrimenti difficilmente accessibile, come
viene spiegato poco dopo: “Tutte queste cose Gesù disse alle folle
con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si
compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: aprirò la
mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fino dalla
fondazione del mondo” citando il Salmo 28, 2 (Matteo 13, 34-35).
“Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola,
come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro, ma in
privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa” (Marco 4, 33-34).
Le difficoltà
interpretative nascono dalle versioni fornite da Marco e Luca che
sembrano affermare l'esatto contrario rispetto a Matteo.
Ad un approccio
psicologico quanto riferito da Matteo appare in sintonia con la
globalità del messaggio contenuto nei Vangeli. Marco e Luca hanno
frainteso le parole del loro Maestro?
Proviamo a cercare una
soluzione al problema affidandoci ad una riflessione di Y. Redalié (2011):
”E' un'illusione che una sola voce umana possa essere la
trascrizione perfetta della parola di Dio”.
Quando Giovanni Battista
dal carcere (Matteo 11, 2-6; Luca 7, 18-23) invia due suoi discepoli
a chiedere se è lui che deve venire, Gesù risponde mettendo in
evidenza i miracoli compiuti, ma conclude: “e ai poveri è
predicata la buona novella”.
Riportiamo ancora un
passo con le parole di Matteo (11, 25-26), ma riferito anche da Luca
(10, 21): “In quel tempo Gesù disse: Ti rendo lode, Padre, Signore
del cielo e della terra, perché hai nascoste queste cose ai sapienti
e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perchè così
hai deciso nella tua benevolenza”.
Dopo il racconto della
parabola della vigna e dei contadini omicidi (Matteo 21, 35-45; Marco
12, 1-12; Luca 20, 9-19), i capi dei sacerdoti e i farisei capirono
che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della
folla, perché lo considerava un profeta.
Da una parte troviamo le
folle dei poveri, dei semplici, che sono ben disposte ad ascoltare il
messaggio di Gesù e si sforzano di comprenderlo, potremmo dire con
la mente e con il cuore.
Dall'altra vi sono i
depositari della dottrina ortodossa giudaica, dotati di un ruolo che
è anche di potere. Capiscono, ma con il loro atteggiamento
preconcetto e ostile, tentano di muovere contro Gesù.
“Capire” ha un
significato prevalentemente cognitivo-razionale, mentre “comprendere”
ha anche un contenuto affettivo-relazionale (prendere insieme). Su
questa differenza si basa la diversità di atteggiamento fra il
popolo e i suoi capi religiosi.
Alla luce di queste
considerazioni, la versione fornita da Marco e Luca appare
psicologicamente comprensibile. Matteo riferisce la risposta di Gesù
riguardante le folle, Marco e Luca ne riportano un'altra concernente
i capi religiosi.
Entrambe le frasi
sarebbero state pronunciate, probabilmente in momenti e contesti
diversi.
Una conferma di tale
ipotesi potrebbe provenire da una constatazione significativa: la
conclusione di Marco “e non si convertano e sia loro perdonato”,
che sarebbe riferita, in base a quanto detto, ai capi religiosi.
Gesù comprende che
costoro hanno un ruolo da difendere e oppongono resistenza al
messaggio evangelico. Infatti, Gesù dice: “A chi parlerà contro
il Figlio dell'uomo, sarà perdonato, ma a chi parlerà contro lo
Spirito Santo, non sarà perdonato, né in questo mondo, né in
quello futuro” (Matteo 12, 32; Luca 12, 10).
Di dimensione divina sono
la comprensione e la misericordia di Gesù che saranno ribadite con
ancora più forza sulla croce: “Padre, perdona loro perché non
sanno quello che fanno” (Luca 23, 34).
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