Cerca nel blog

giovedì 19 ottobre 2017

Psicoterapia e atteggiamento religioso

Nel percorso psicoterapeutico è assai probabile che emerga la questione dell'appartenenza ad una fede religiosa o, invece, di un atteggiamento ateo o agnostico.
Ciò può avvenire nel tempo in modo sporadico e frammentario, oppure la domanda può esser posta dal paziente al terapeuta in modo improvviso ed inaspettato.
L'opposto non dovrebbe mai accadere a meno che si ponga il sospetto che l'atteggiamento religioso, o la sua negazione, incida in qualche modo sulla sintomatologia riferita.
Tale domanda può essere posta a terapia già avviata e ciò permette al curante di modulare la propria risposta in base alle conoscenze che ha del paziente.
In altri casi può essere chiesta all'inizio del trattamento.
In tale situazione si può domandare al paziente il motivo di tale quesito, ma quale che sia la risposta, è opportuno esplicitare la propria opinione con sincerità.
Modulare la risposta, come si accennava in precedenza, può essere importante per non creare possibili barriere che ostacolino il dialogo. Sono, ad esempio, da evitare frasi nette come “sono cattolico osservante” o “ateo convinto”.
Appare più opportuno, nel caso di un credente, fornire risposte più flessibili del tipo “sono cristiano, o meglio, cerco di essere cristiano, cioè di seguire il sentiero indicato dal Vangelo, anche se la mia fede presenta incertezze e dubbi”.
Tale formulazione, oltre a essere veritiera in ogni circostanza in quanto il dubbio non annulla la fede e, come scrive H. Küng (2012) “la vera critica non annienta la fede, la vera fede non ostacola la critica”, presenta un atteggiamento moderato che non si oppone al dialogo, anzi lo può favorire.



Quanto detto è solo un esempio pratico, rappresenta un'opinione maturata in circa quattro decenni di attività psicoterapeutica.

Nessun commento:

Posta un commento