“Beati quelli che hanno
creduto senza avere visto!”
San Giovanni (20, 29)
Ora che rientro a pieno
titolo nell'età anziana, sento il bisogno di mettere per iscritto un
ricordo che risale alla mia infanzia.
Potevo avere nove o dieci
anni. Ero un ragazzino timido e introverso e, forse, per questo
motivo, mi trovavo nel salotto di casa con i miei genitori che erano
in compagnia di un anziano signore, invece di essere fuori per strada
a giocare al pallone con i miei coetanei. Nell'ora dell'imbrunire li
guardavo dalla finestra, sentivo le loro voci e le loro grida di
gioia o di scontento, i loro litigi.
A quell'età mi sentivo
più sicuro standomene a casa, anche se poi mi sono sbloccato e di
pallonate ne ho tirate e parate, anche se non tutte.
Quella sera, però, era
davvero speciale.
Questo signore di cui non
ricordo pressoché nulla, era un amico e, credo, collega di mio
padre. Vestiva in modo elegante, aveva i capelli bianchi come la
neve, parlava con entusiasmo, ma pacatamente, raccontando un episodio
recente della sua vita di cui ricordo solo la trama portante.
Pochi giorni prima aveva
avuto un pauroso incidente d'automobile. Non ricordo assolutamente i
particolari, ma doveva essere stato un fatto davvero grave. La
vettura su cui viaggiava da solo era slittata sull'asfalto
bagnato o su una macchia d'olio. Fatto sta che aveva perso il
controllo e l'automobile sbandando e urtando contro il bordo della
strada, aveva capottato diverse volte su se stessa andando poi a
sbattere contro un albero o una roccia.
Ricordo i miei genitori
ascoltare attenti a non perdere una singola parola di questo racconto
narrato in modo vivo e appassionante.
Ne era uscito illeso in
modo che considerava miracoloso, mentre l'automobile era praticamente
solo più un rottame.
Il particolare più
interessante era rappresentato da una macchina fotografica che aveva
con sé, non ricordo per quale motivo: se si trovava in viaggio o era
appassionato di fotografia o la usava per lavoro, non so.
Fatto sta che alcuni
giorni dopo portò a sviluppare il rullino che vi era contenuto.
Anticipando soddisfatto
lo stupore che avrebbe suscitato nei miei genitori, porse loro una
fotografia. La reazione fu superiore alle sua attese a giudicare
dall'intensa gioia che a sua volta manifestò.
Le parole di meraviglia
si succedevano, si scavalcavano, si anticipavano nella voce commossa
di mio padre e di mia madre.
Non capivo che cosa vi
potesse essere di così straordinario da suscitare una reazione
simile.
La mia curiosità di
bambino era alle stelle.
Non ricordo se fui io a
chiedere di vederla o se mi fu data di spontanea volontà da qualcuno
dei presenti, sicuramente con l'assenso dell'anziano signore.
Certamente mi fu raccomandato di tenerla in mano dai bordi in modo da
non sciuparla.
Ancora oggi è viva
l'immagine che vidi.
Sono consapevole che il
ricordo si può trasformare con il passare degli anni, ma dubito che
ciò sia avvenuto in questo caso tanto è rimasto inalterato nella
mia memoria quando lo rievoco.
A quel tempo, quando le
televisioni erano guaste o non veniva trasmesso nulla, lo schermo in
bianco e nero era solo un ammasso confuso e informe di figure come
fosse un mosaico senza nessun significato in costante movimento.
La fotografia che
osservavo attentamente aveva tale aspetto, eppure vi si distingueva
nettamente, senza bisogno che nessuno me lo facesse notare, il volto
di Gesù, per lo meno così come lo rappresentano tante immagini
pittoriche.
Lunghi capelli neri
incorniciavano il volto, in cui nonostante le caratteristiche della
fotografia simile a uno schermo televisivo informe, si notavano
distintamente gli occhi a palpebre chiuse, il naso, la bocca, le
guance e il mento avvolti da una barba non folta.
Mentre guardavo
affascinato quel volto ascoltavo la fine del racconto.
Quel signore tanto
gentile da avermi concesso di guardare la fotografia tenendola fra le
mie mani insicure di bambino, si diceva assolutamente convinto che
durante l'incidente, a causa dei continui sobbalzi, la macchina
fotografica era scattata da sola e aveva fotografato quel volto la
cui presenza testimoniava che essere sopravvissuto indenne,
nonostante la gravità del fatto, era senz'altro conseguenza di un
miracolo.
Lui ne era certo e
felice.
Che cosa pensassero i
miei genitori dietro le parole di assenso non lo so, ma ritengo che
fossero sinceri, né penso di avere mai conosciuto le convinzioni
religiose di quel signore prima di tale episodio.
Mi interessa ricordare
che cosa pensavo io.
Non lo ricordo.
Ero un bambino, troppo
piccolo per pensare cose troppo grandi.
Che cosa penso ora?
Non lo so.
So solo che voglio
sperare che quel giorno, in quell'istante, la macchina fotografica
abbia colto quello che non ci è dato di vedere, ma solo credere che,
forse, è più che vedere.