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giovedì 15 giugno 2017

Il discorso escatologico

Presso le comunità cristiane del I° secolo d.C. era diffusa la credenza che la fine del mondo fosse imminente a tale punto che i primi fedeli erano convinti di assistere essi stessi a questo evento, come attesta anche San Paolo (2 Tessalonicesi 2, 1-2).
Andando contro l'esegesi più accreditata del Nuovo Testamento, H. Küng (2012) si dice convinto che tale idea fosse riconducibile alla parole stesse pronunciate da Gesù.
A duemila anni di distanza possiamo testimoniare che tale profezia non si è avverata. Gesù si è sbagliato o ha mentito? Tale ipotesi è da rigettare come totalmente assurda sotto ogni punto di vista, teologico e psicologico in primo luogo. Anche Küng ne sarebbe d'accordo.
E' opinione prevalente fra gli esegeti del Nuovo Testamento che tale credenza fosse presente in base al discorso escatologico di Gesù, riferito dai tre evangelisti sinottici, San Matteo, San Marco, San Luca, che si dimostra di non facile interpretazione tanto da lasciare pensare che essi stessi abbiano avuto difficoltà a comprenderlo (Matteo 24, 1-36 e 25, 31 46; Marco 13, 1-37; Luca 21, 5-36).
Le difficoltà nascerebbero dalla sovrapposizione di tre diverse profezie.
- La prima, inerente il Regno di Dio, ha un valore più immanente che trascendente in quanto si riferisce all'affermarsi della volontà di Dio su questa terra in modo lento, graduale, costante e inarrestabile fino ai confini del mondo.
- La seconda riguarda la distruzione del Tempio di Gerusalemme avvenuta nel 70 d.C. ad opera dei romani durante la prima guerra giudaica.
- La terza si riferisce alla Parusia, cioè il ritorno di Gesù Cristo nella sua gloria divina per giudicare i vivi e i morti. Sarebbe ciò che viene comunemente denominato Giudizio Universale che, secondo la profezia, avverrà dopo guerre, terremoti, carestie, pestilenze, persecuzioni contro i discepoli e la comparsa di falsi profeti, ma solo dopo che il Vangelo sarà proclamato a tutte le genti.
Le difficoltà di interpretazioni derivano dalle seguenti frasi.
In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo accada. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto a quel giorno e a quell'ora nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre” (Matteo 24, 34-36).
In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto poi a quel giorno e a quell'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli del cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre” (Marco 13, 30-32).
Così pure, quando voi vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità vi dico: non passerà questa generazione finché tutto sia avvenuto. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Luca 21, 31-33).
La frase più problematica è: “non passerà questa generazione finché tutto sia avvenuto”.
Per orientarci in questo discorso molto complesso ci può essere di aiuto una riflessione di Erasmo da Rotterdam (1516) il quale osservava che per quanto riguarda l'Aldilà Gesù ha detto molto poco, considerando che il suo messaggio fondamentale è rivolto alla vita terrena. Erasmo aggiunge che quanto non è chiaro nei Vangeli al momento attuale, lo potrà divenire in futuro alla luce di nuovi eventi.
Infatti, nel Vangelo di Luca si trova un passo, assente negli altri due sinottici, sul fatto che Gerusalemme sarà circondata da eserciti e calpestata dai pagani (Luca 21, 20-24).
E' opinione ampiamente condivisa che i Vangeli di Matteo e Marco siano stati scritti prima del 70 d.C., mentre quello di Luca intorno a tale data o poco dopo. In questo caso, considerato che l'assedio a Gerusalemme durò alcuni mesi dopo una guerra di circa quattro anni, Luca poteva essere al corrente di fatti sconosciuti agli altri due evangelisti.
Se si tengono presenti le osservazioni circa la validità psicologica della testimonianza oculare e del suo ricordo nel tempo (Credere per ragione del 11/01/2017) si può considerare come altamente probabile che gli evangelisti, non riuscendo a orientarsi con facilità tra queste parole di Gesù, abbiano attribuito a tutto il suo discorso una frase che era riferita solo alla distruzione del Tempio che si verificò quando era ancora in vita una buona parte della sua generazione.
Inoltre, appare utile precisare che alla distruzione del Tempio veniva conferito un significato teologico-storico particolare come transizione tra la vecchia tradizione della Legge ebraica e il nuovo messaggio cristiano, tra l'Antico ed il Nuovo Testamento (Benedetto XVI, 2011). Il Regno di Dio non è più chiuso entro delle mura, accessibile solo ai sommi sacerdoti, ma è ovunque in mezzo alla gente.
Il discorso escatologico s'inserisce nel messaggio immanente che pervade i Vangeli: vigilate e siate pronti perché Dio può manifestarsi in ogni momento.
La frase riferita a quel giorno e a quell'ora conosciuta solo dal Padre assume, per come è formulata, una rilevanza che la evidenzia rispetto al restante discorso e sembra riferirsi in modo particolare proprio al momento della Parusia descritta come improvvisa e rapida come un fulmine.











mercoledì 7 giugno 2017

Alla ricerca della fonte Q nei Vangeli sinottici

Studiosi del Nuovo Testamento, provenienti da varie discipline, concordano a grande maggioranza sull'esistenza di una fonte, denominata Q dal tedesco Quelle, comune ai tre Vangeli sinottici di San Matteo, San Marco e San Luca.
La loro somiglianza, sia pure con delle diversità, lascia pensare, appunto, all'esistenza di una fonte comune a cui hanno attinto i tre evangelisti, soprattutto per la vita, le parole e le opere di Gesù, rimanendo a parte la Passione e la Risurrezione.
Si ritiene che tale fonte sia costituita:
- dalla predicazione orale degli apostoli dopo la morte e risurrezione di Gesù, in particolare quella di San Pietro che sarebbe fondamentalmente raccolta nel Vangelo di Marco,
- da scritti andati perduti, parzialmente confluiti nei Vangeli canonici e in quelli apocrifi, compresi i Loghia di Gesù, tratti dalla sua predicazione.
A tale proposito appare interessante l'affermazione di Papia (125 d.C., circa), probabilmente discepolo di San Giovanni, che ha scritto: “Matteo coordinò i detti in lingua ebraica; ciascuno poi li ha interpretati come poteva” (citato da Eusebio di Cesarea, 324 d.C., circa).
Vi è una generale concordanza di opinioni che Matteo abbia messo per iscritto in aramaico in modo non sistematico i suoi ricordi della vita di Gesù, raccogliendo anche altre testimonianze oculari.
Si ritiene che in un secondo tempo Matteo stesso abbia elaborato tale materiale nel suo Vangelo con una trama narrativa più strutturata, scrivendolo in greco.
Ciò richiama la discussione circa la priorità fra i Vangeli di Matteo e Marco, mentre esiste una concordanza di opinioni sul fatto che quelli di Luca e Giovanni siano posteriori.
La tradizione attribuisce la priorità a Matteo, mentre studi più recenti l'attribuirebbero a Marco.
Non è improbabile che la raccolta di detti in aramaico di Matteo sia antecedente ad ogni altro scritto, ma che il Vangelo di Marco venga prima di quello greco di Matteo.
Un'attenzione psicologica lascerebbe pensare che tale possa essere la successione dei fatti e che la fonte Q possa essere, almeno in parte, la raccolta scritta di detti in aramaico attribuita a Matteo.
Tale considerazione, presente nell'esegesi del nuovo testamento, ha avuto poco seguito ed è stata, anzi, rigettata come poco attendibile in quanto non sufficientemente suffragata da altre testimonianze (Wikipedia, fonte Q; J. Weiss, 1917).
Tuttavia, secondo il metodo di procedimento scientifico, per comprendere un determinato fenomeno occorre elaborare delle ipotesi prendendo in considerazione in prima istanza la più semplice sul piano epistemologico.
In questo caso la correlazione fra l'affermazione di Papia e la probabile origine della fonte Q appare la più attendibile considerata la vicinanza temporale. Inoltre, non vi sono altre testimonianze paragonabili a questa per importanza e la fonte Q materialmente non esiste se non come ipotesi esplicativa, non meglio identificata e specificata, delle somiglianze fra i tre Vangeli sinottici ed è stata proposta solo nel 1801 (H. Marsh).

Per approfondimenti bibliografici si rimanda alla bibliografia del saggio “Credere per ragione” del 11/01/2017.