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mercoledì 12 marzo 2025

Il Sepolcro vuoto

“Mentre le donne erano in cammino, alcune guardie che sorvegliavano la tomba di Gesù tornarono in città e raccontarono ai capi dei sacerdoti quello che era successo.

Allora i capi dei sacerdoti si riunirono insieme con le autorità del popolo e decisero di offrire molti soldi alle guardie dicendo: Voi dovete dire che sono venuti di notte i suoi discepoli, mentre dormivate, e che l'hanno rubato. Se poi il governatore verrà a saperlo, noi lo convinceremo e faremo in modo che voi non siate puniti.

Le guardie presero i soldi e seguirono quelle istruzioni. Perciò questa storia è diffusa ancora oggi tra gli ebrei” (Matteo 28, 11-25).

Queste parole del Vangelo di Matteo hanno trovato profonda eco fra o detrattori dei racconti evangelici e coloro che non credono alla vita e, tanto meno, alla risurrezione di Gesù, negando ogni verità storica e di fede.

Tale argomentazione è ritenuta assolutamente falsa dai credenti e da chi sostiene l'attendibilità storica del Nuovo Testamento.

Fra le tante osservazioni se ne può evidenziare una che appare piuttosto significativa.

Nella sua vita Gesù ha parlato della propria morte e risurrezione tre volte:

la prima in Matteo 16, 21; Marco 8, 31-32; Luca 9, 22;

la seconda in Matteo 17, 22-23; Marco 9, 30-32; Luca 9, 44-45 (in questo caso solo della Passione);

la terza in Matteo 20, 17-19; Marco 10, 32-34; Luca 18, 31-34.

A queste si devono aggiungere due riferimenti al Segno del profeta Giona (Matteo 16, 4; Luca 11, 29-30).

Ai fini della presente trattazione è importante sottolineare che vi è una sostanziale incomprensione delle parole di Gesù e grande incredulità da parte degli apostoli come sottolineato nella terza predizione riportata da Luca: “Poi Gesù prese da parte i dodici discepoli e disse loro: Ecco noi stiamo salendo verso Gerusalemme. Là si realizzerà tutto quello che i profeti hanno scritto riguardo al Figlio dell'uomo. Egli sarà consegnato ai pagani ed essi gli rideranno in faccia, lo copriranno di offese e di sputi, lo prenderanno a frustate e lo uccideranno. Ma il terzo giorno risorgerà.

I discepoli però non capivano nulla di tutto questo. Il significato di ciò che Gesù diceva rimase per loro misterioso e non riuscivano affatto a capire”.

A ciò si aggiunga quanto riferito da Giovanni dopo la risurrezione: “Non avevano ancora capito quello che dice la Bibbia, cioè che Gesù doveva risorgere dai morti” (20, 9).

L'incredulità dei discepoli davanti a Gesù risorto è reiterata nei racconti evangelici ed evidenziata da G. Scarso (Credere per fede, credere per ragione, 2024).

Si può, quindi, concludere che gli apostoli, non avendo capito nulla delle predizioni di Gesù circa la sua risurrezione, anche dopo che era avvenuta, non potevano elaborare il piano di trafugare il suo corpo, fatto questo che nelle loro menti non aveva nessun significato.


Per H. Küng distinguere tra Padre, Figlio e Spirito Santo sarebbe come distinguere tra il sole, il suo calore e la sua luce.

   

giovedì 19 settembre 2024

In quale lingua si è svolto il processo a Gesù davanti a Pilato?

  

Sembra che tale problema risulti sostanzialmente estraneo alle ricerche condotte dagli studiosi del Nuovo Testamento.

Si possono prendere in considerazione diverse ipotesi.

La prima è che fossero presenti dei traduttori.

Gli Evangelisti non ne fanno cenno, ma essi erano più interessati ai fatti che alla cornice formale che li circonda.

In prima istanza si può ragionevolmente escludere che Gesù parlasse il latino.

Gli ebrei odiavano i romani non solo perché invasori della Palestina, ma anche in quanto pagani ed idolatri: difficilmente si sarebbero accostati alla loro lingua. Forse solo qualcuno poteva avere l'esigenza di conoscerla per motivi lavorativi o per avere dei contatti con i romani.

Ponzio Pilato era prefetto della Giudea da circa quattro anni al tempo del processo a Gesù e avrebbe avuto tutto il tempo per imparare l'aramaico.

Poteva essere una necessità o, comunque, risultare utile, per un governatore conoscere la lingua del popolo su cui esercitava il potere.

Tuttavia, i romani si sentivano superiori agli altri popoli anche se mantenevano un atteggiamento di rispetto e tolleranza. Tale vissuto di superiorità era rilevante soprattutto nei confronti degli ebrei che ostinatamente rifiutavano di piegarsi ai loro valori culturali e religiosi.

Perché fare tanta fatica ad imparare una lingua quando si poteva disporre di traduttori? Inoltre un prefetto era sicuramente oberato di responsabilità che gli lasciavano poco tempo a disposizione.

Esiste una possibilità. Gesù e Pilato potevano avere una lingua in comune: il greco.

Questa era la lingua più parlata nella parte orientale dell'Impero Romano, dopo l'avvento dell'ellenismo instaurato con la conquista di queste regioni da parte di Alessandro Magno circa tre secoli prima.

Inoltre i romani avevano molto rispetto e devozione nei confronti della cultura greca e di tale lingua.

Lo stesso si potrebbe affermare per gli ebrei anche se più chiusi ad apporti esterni. Si può osservare che i Vangeli sarebbero stati scritti in greco già nella loro prima stesura.

L'ipotesi che Pilato conoscesse tale lingua o la parlasse almeno per quanto gli era utile ai fini dell'esercizio del proprio governo, appare probabile.

Gesù, gli apostoli, i primi discepoli appartenevano ad una classe povera ed umile del loro popolo.

Questo, però, non significa necessariamente anche ignorante, come molti sostengono.

Infatti, bisogna considerare che gli ebrei in generale conoscevano le Sacre Scritture, sapevano leggerle e, spesso, ne imparavano a memoria parti anche rilevanti.

Le loro conoscenze probabilmente non andavano molto oltre, non mostrando particolare interesse verso altre culture, se non in casi limitati.

Non è improbabile, quindi, che Gesù, come molti altri ebrei, conoscesse il greco, almeno in forma sommaria, giusto quanto bastava per sostenere un colloquio anche semplice con chi ebreo non era. Gli scambi lavorativi e commerciali all'interno di una regione dell'impero erano frequenti e la popolazione, anche in un'area piccola come la Palestina, era multietnica.

Se si calcola il numero delle parole assai limitato che Gesù e Ponzio Pilato si sono scambiati nel corso del processo, l'ipotesi avanzata appare la più sostenibile.


venerdì 1 dicembre 2023

Gli operai della vigna

 

Una parabola che mi è sempre parsa difficile da comprendere è quella degli operai della vigna (Matteo 20, 1-16).

Il padrone di una vigna chiama dei lavoratori all'alba, poi alle nove del mattino, ancora a mezzogiorno, più tardi verso le tre del pomeriggio e, quindi, alle cinque.

Finita la giornata di lavoro dà a tutti la stessa paga suscitando l'irritazione dei primi.

Con la tipica mentalità borghese sensibile alle leggi economiche, mi è sempre parso un comportamento inadeguato e ingiusto.

Arrivavo a comprendere che, trattandosi di una parabola, Gesù si riferisce al Regno di Dio dove esiste una logica diversa da quella terrena e la volontà del Signore trascende le categorie umane.

Un'omelia di Don Michele Do del 22/08/1990 mi ha aiutato ad aprire gli occhi.

Gli operai della prima ora sono gli uomini che docilmente seguono il richiamo del Signore, ma, forse, in qualche caso, senza particolare entusiasmo, con poca convinzione. Infatti protestano mettendo in discussione la decisione del padrone della vigna, non dimostrando particolari doti di comprensione, manifestando una visione miope della volontà di Dio.

Gli ultimi sono quelli che trascorrono la vita nell'ozio, padre di tutti i vizi, e si trovano probabilmente in una situazione di peccato.

Tuttavia, anche loro vengono chiamati e si presentano al lavoro, aderendo all'invito di Dio.

Gesù si rivolge a tutti. Tutti sono chiamati e non importa se aderiscono subito o solo più tardi.

Nel Regno di Dio tutti sono accolti, i primi come gli ultimi e la Sua misericordia non fa distinzioni.


Si riprende qui un aggiornamento del 15/03/2021.

martedì 26 settembre 2023

La Risurrezione: problemi psicologici di traduzione

 

Si intendono approfondire alcune considerazioni inerenti un passo del Vangelo secondo San Giovanni, già proposte nell'aggiornamento “Credere per ragione” dell' 11 gennaio 2017.

“Allora Pietro e l'altro discepolo uscirono e andarono verso la tomba. Andavano tutti e due di corsa, ma l'altro discepolo corse più in fretta di Pietro e arrivò alla tomba per primo. Si chinò a guardare le bende che erano in terra, ma non entrò. Pietro lo seguiva. Arrivò anche lui ed entrò nella tomba: guardò le bende in terra e il lenzuolo che prima copriva la testa. Questo non era in terra con le bende, ma stava da una parte, piegato. Poi entrò anche l'altro discepolo che era arrivato per primo alla tomba, vide e credette” (Giovanni 20, 3-8).

A. Persili (1987), ripreso da V. Messori (2000) propone una traduzione assai diversa: le bende erano appiattite, afflosciate e il lenzuolo avvoltolato in un luogo a parte.

L'originale greco (A. Merk, 1992) riporta il vocabolo “keimena” che significa appunto “ distese”, ”giacenti”, “poste in piano orizzontale”.

La traduzione latina (A. Merk, 1992) riporta “posita” con il significato di “posate”, “deposte”, “distese”, “giacenti”.

Nell'accezione del Persili, quindi, le bende risulterebbero intatte, afflosciate come se non contenessero più il corpo che avvolgevano.

Dal punto di vista psicologico si può ipotizzare che i primi traduttori si siano trovati in difficoltà a tradurre un vocabolo il cui significato è “appiattito” non riuscendo a raffigurarsi una tale immagine e comprendere un simile fatto.

Il latino “posita” appare piuttosto vago, indeterminato, indicante una notevole difficoltà di traduzione.

La menzione del lenzuolo posto in un luogo a parte, apparentemente di secondaria importanza, rivestirebbe, invece, un ruolo rilevante, ad indicare che sarebbe stato sospinto lontano, trovandosi collocato lontano dalle bende.

In definitiva, appare ipotizzabile che il corpo di Gesù si sia smaterializzato secondo fenomeni atomici di decomposizione o dissociazione chimica (scissione di una molecola nelle sue componenti atomiche per effetti elettrici, termici e radianti, J. Mc Murry , 2004)), conosciuti dalla fisica moderna, ma certamente ignorati dai primi traduttori del Vangelo sia in latino che nelle altre lingue.

La dizione “a terra”, completamente inesistente nella versione originale, potrebbe essere stata inserita in quanto suggerita dai termini “deposto”, “giacente”, proprio per dare un senso ad una frase altrimenti incomprensibile perché troppo indeterminata, non potendo essere presa in considerazione, in base a quanto esposto, la dizione “poste in orizzontale”.

Importante è notare la conclusione di Giovanni: l'altro discepolo (Giovanni stesso) vide e credette non per ciò che non vide, la mancanza del corpo di Gesù, ma per la scena che colsero i suoi occhi.

Si vuole ancora ricordare l'opinione di Erasmo da Rotterdam (1511) secondo cui non tutto è sempre chiaro nel Vangelo, ma ciò che non risulta comprensibile oggi lo può diventare domani alla luce di nuove riflessioni e scoperte.

In questo caso proprio la scienza, da molti ritenuta antitetica alla religione, ci propone un'interessante ipotesi interpretativa, sia pure incompleta se non ammettendo la possibilità di un intervento trascendente.

mercoledì 22 marzo 2023

Gesù guarisce un uomo in giorno di sabato

 

“Poi Gesù disse all'uomo malato: “dammi la tua mano.”

Gliela diede e la sua mano ritornò perfettamente sana come l'altra.

Allora quei farisei uscirono dalla sinagoga e si radunarono per decidere come fare morire Gesù” (Matteo  12, 13-14).

Sbalordisce la reazione dei farisei.

La guarigione non viene vista come un atto miracoloso di bontà, ma come un pericoloso attentato al loro potere.

Il Vangelo in questo episodio, come in tanti altri, si dimostra un trattato di psicologia e psicopatologia prima di tanti che sono comparsi secoli dopo.

Smaschera le dinamiche del potere la cui logica di pensiero viaggia su un binario parallelo a quella comune umana.

Il potere è fine a se stesso, non vede nient'altro, non guarda in faccia nessuno, considera solo la possibilità di autoconservarsi in modo totalmente acritico giungendo fino all'eliminazione di chi lo mette in discussione.

Ogni mezzo è lecito, compresa la morte.

Come già detto, la logica del potere assoluto viaggia su un binario parallelo a quella del sentimento sociale, senza nessuna possibilità di incontro, se non all'infinito dove solo Dio può fare qualcosa.

Queste osservazioni devono costituire un insegnamento per aiutarci a comprendere la brutale criminalità dell'attuale guerra contro un paese desideroso di una pace che la logica di potere dell'aggressore gli negherà in tutti i modi preferendo la sofferenza del proprio popolo e la morte di decine di migliaia dei suoi giovani.

giovedì 16 marzo 2023

Il mondo del noi

Il conferenziere, noto per le sue posizioni filosofiche paradossali e stravaganti, estrasse una penna dalla tasca della giacca e la pose sulla scrivania.

Poi, rivolto all'uditorio, chiese: “Qualcuno di voi può affermare con assoluta certezza che questa è una penna?”

Ci furono alcuni istanti di imbarazzato silenzio.

Poi, una signora seduta nelle prime file di banchi, alzò la mano.

Il conferenziere le diede la parola: ”Lei si sente di affermare con assoluta convinzione che si tratta di una penna?”

“Certo che no, ma posso chiedere ai presenti di alzare la mano se sono sicuri che è una penna.”

All'unisono si alzarono tutte la mani destre.

“Lei ha perfettamente ragione, signora, tale affermazione non fa parte del mondo dell'io, ma del noi.

Noi pensiamo, dunque sono.”

Io stavo seduto nelle ultime file in alto. Mi venne da pensare che noi cristiani possiamo rivolgerci a Dio come Padre Nostro anche quando preghiamo in solitudine.