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giovedì 31 gennaio 2019

Approccio psicologico e ricerca storiografica: un esempio applicato al Nuovo Testamento


Gli “Atti di Pietro e Paolo” sono uno scritto apocrifo in greco datato al IV secolo d.C.
Vi sono descritti il martirio di San Pietro, crocifisso a testa in giù per suo stesso volere, e di San Paolo, decapitato in quanto cittadino romano.
Ciò avviene dopo una discussione pubblica in presenza di Nerone ed il racconto ha accenti decisamente favolistici.
Tuttavia, potrebbe contenere un nocciolo di verità in quanto vi è un ampio consenso in tale ambito di ricerca sulla base degli scritti dei primi padri della chiesa (Gerolamo, Tertulliano, Eusebio, Origene) che Pietro e Paolo siano morti fra il 64 ed il 67 d.C. durante il regno di Nerone e le sue persecuzioni contro i cristiani.
Appare interessante mettere in relazione questi fatti, sia pure ipotetici, ma ritenuti assai attendibili, con la predizione fatta da Gesù a Pietro circa la sua morte: “In verità, in verità ti dico: quando eri giovane ti cingevi le vesti da te e andavi dove tu volevi, ma quando sarai diventato vecchio tu stenderai le braccia ed un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vorrai (Giovanni 21, 18)”. Nel Vangelo si legge ancora :”Disse questo per indicare con quale genere di morte doveva glorificare Dio (21, 19)”.
Tali parole indicherebbero una morte per crocifissione.
E' da notare che Giovanni avrebbe scritto il suo Vangelo intorno al 100 d.C., quindi alcuni decenni dopo il martirio di Pietro.
Risulta difficile pensare che nella comunità cristiana dell'epoca tale fatto non fosse conosciuto, considerata l'importanza ed il carisma dell'apostolo che veniva considerato come il primo fra i discepoli del Messia. Giovanni avrebbe potuto riportarlo così come si era svolto.
Eppure no, si attiene alle parole che Gesù aveva pronunciato.
Nulla viene cambiato al ricordo di quanto detto dal Maestro.
Secondo un criterio di comprensione su base psicologica, la scelta di Giovanni di attenersi alle parole di Gesù dimostra un importante aspetto di veridicità.
Appare, infatti, più probabile che un discepolo di Gesù abbia preferito riportare le sue parole piuttosto che modificarle sulla base di fatti successivi. La verità viene prima di tutto ed è preferita ad una versione che avrebbe dato maggiore forza alla previsione stessa per i lettori contemporanei e futuri.

Tale ricostruzione ha valore puramente ipotetico in quanto basata su una analisi psicologica verosimile di fatti non più accertabili.