La carità è la poesia del cielo portata sulla terra.
Don Primo Mazzolari, 1953
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lunedì 31 dicembre 2018
lunedì 3 dicembre 2018
L'arresto nel Getsemani
Nell'episodio
dell'arresto di Gesù vi è un particolare, descritto dai quattro
evangelisti, che suscita qualche perplessità in una prospettiva di
approfondimento storico-psicologico (Matteo 26, 51-52; Marco 14, 47;
Luca 22, 50-51; Giovanni 18, 10-11).
Nelle narrazioni, che
differiscono per pochi particolari, uno dei discepoli colpì con la
spada staccando un orecchio di un uomo facente parte del manipolo di
servi e soldati inviati dalle autorità religiose ebraiche per
arrestare Gesù. Il Vangelo di San Marco è il più coinciso, mentre
in quello di San Giovanni viene precisato che tale discepolo era San
Pietro e la vittima si chiamava Malco, probabilmente un personaggio
importante.
Nelle narrazioni di Luca
e Giovanni, Gesù interviene guarendo l'orecchio mozzato.
In quelle di Matteo e
Giovanni, Gesù ordina di riporre la spada al suo posto (Matteo) e nel
fodero (Giovanni).
Ciò che suscita
perplessità è la presenza di un'arma importante come la spada
difficilmente occultabile.
Si può ragionevolmente pensare
che Gesù non permettesse ai suoi discepoli più stretti di portare con
sé simili armi.
Inoltre, è facilmente
intuibile che le autorità romane vietassero a comuni cittadini di
girare armati per la vie di Gerusalemme, soprattutto in periodi come
le festività ebraiche, quali la Pasqua, che maggiormente
presentavano il pericolo di sommosse per la grande concentrazioni di
pellegrini in città.
Un'attenta analisi della
traduzione può permettere la comprensione di una maggiore veridicità
dei fatti.
Il testo greco del Merk
riporta la parola “makaira”. Secondo il vocabolario
greco-italiano del Rocci, tale parola è tradotta in prima scelta
come coltello (per tagliare la carne) e, solo in seconda istanza,
come pugnale, spada che corrisponde più esattamente al termine
“xifos”.
Secondo Matteo, Gesù ha
ordinato di riporre il coltello al suo posto (topos), non meglio
identificato, mentre Giovanni parla di fodero.
La parola greca “zeke”,
sempre secondo il Rocci, più che fodero, traduzione comunque
accettata, indica una borsa, una guaina, quindi un contenitore
probabilmente in stoffa o cuoio, che, fasciando un coltello, può
essere più facilmente nascosto sotto gli abiti.
Giovanni precisa che
Pietro “aveva un coltello” (secondo questa interpretazione).
L'espressione potrebbe indicare che l'aveva portato occasionalmente
viste le circostanze minacciose nei confronti del suo Maestro.
Gesù non gli ordina di
buttarlo via, ma di riporlo al suo posto, dimostrando di accettare
una situazione che forse presentava caratteristiche di consuetudine,
quale avere un coltello, ma non una spada.
In conclusione questo
episodio così interpretato appare psicologicamente più consono al
testo e maggiormente verosimile dal punto di vista storico.
A completamento di quanto
detto, appare opportuno citare il passo evangelico di Luca (22,
36-38), in cui Gesù esorta i suoi discepoli a procurarsi soldi,
borse e spade.
Tuttavia, quando i
discepoli gli presentano due spade, Gesù tronca il discorso con un
deciso “basta!”, come a smentire il proprio riferimento alle
armi, quasi che questo fosse più metaforico che reale: un invito ad
essere più accorti e sulla difensiva rispetto a quando li aveva
inviati a predicare da soli, senza portare nulla con sé, nemmeno il
bastone come unico strumento possibile di difesa. (Matteo 10, 5-15;
Marco 6, 7-13; Luca 9, 1-6).
Nel frattempo Gesù era
diventato un personaggio in vista contro cui tramavano le autorità
ebraiche.
Anche in questo passo è
usato il termine “makaira”, quindi coltello.
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